Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 2.djvu/114

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106 di una storia vera.

figliuola di Salmoneo, la quale poi che fu lasciata da Nettuno ebbe quest’onore.1

Rimasti cinque giorni nell’isola, nel sesto partimmo accompagnati da un venticello che increspava leggermente il mare. Nell’ottavo giorno navigando non più nel latte ma nell’acqua salsa e cerulea, vediamo correre sul mare molti uomini simili a noi per le fattezze e la statura, se non che avevano i piè di sovero, onde erano chiamati Soveripedi. Era una maraviglia vedere come non affondavano, ma si tenevano sull’acqua, e vi camminavano senza paura: si avvicinarono a noi, ci salutarono in lingua greca, e ci dissero che andavano in Sovería loro patria. Per certo spazio ci accompagnarono correndo presso la nave; poi dovendo voltare strada, ci diedero il buon viaggio, e andaron via.

Poco appresso ci apparirono molte isole: la più vicina a sinistra era Sovería, dove quelli andavano, città fabbricata sovra un grande e rotondo sovero: lontano e verso destra cinque grandissime ed altissime su le quali ardeva molto fuoco: dirimpetto la prora una larga e bassa, dalla quale eravamo lontani non meno di cinquecento stadii. Avvicinandoci a questa, maravigliati sentimmo spirarci intorno un’aura soave e fragrante, come quella che dice lo storico Erodoto, spira dall’Arabia felice. Qual è l’odore che viene da rose, da narcisi, da giacinti, da gigli, da viole, e dal mirto ancora, dal lauro, e dal fior della vite, tale era la soavità che a noi veniva. Dilettati da questo odore, e sperando un po’ di bene dopo sì lunghi travagli, più e più ci facemmo vicini all’isola, dove scorgemmo per tutto parecchi porti tranquilli e capaci, fiumi di pura acqua che placidamente mettevano in mare, e prati, e selve, e uccelli che cantavano quali sul lido, quali su pei rami degli alberi. Un aere puro e vivo era diffuso su quel paese: aurette piacevoli spirando movevano leggermente il bosco: onde dai rami commossi uscia dilettosa e continua una melodia, come suono di flauto in una parte deserta. E s’udiva un indistinto di molte voci, non tumultuose, ma quali uscirebbero di un ban-

  1. La favola di Tiro, sforzata da Nettuno, è cantata da Omero nell’XI dell’Odissea: e da Luciano messa in canzone nel 13 dei Dialoghi marini.