Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 2.djvu/147

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il diredato. 139

st’arte a potere essere esercitata: non forza alcuna, non comando: cosa sacra, insegnamento d’iddii, studio di sapienti, non è soggetta a legge, nè a timore o pena di tribunale, nè a capriccio, o minaccia di padre, o a sdegno di persona ignorante. Sicchè se chiaro e tondo io ti dicessi così: Non voglio curare, benchè posso: per me solo e per mio padre so l’arte: per gli altri voglio essere ignorante; qual tiranno avrebbe tanta forza da costringermi mio malgrado ad esercitar l’arte? Queste cose si ottengono con le suppliche e le preghiere, non con le leggi, le ire e i tribunali. Persuadere si deve al medico, non comandare; egli deve volere, non temere; venir volonteroso a curarti, non esservi tirato. Non è pupilla, non è soggetta a patria potestà l’arte, giacchè i medici ricevono dalle città pubblici onori, e seggi distinti, e franchigie, e privilegi d’ogni maniera. Tali cose io potrei dirti francamente intorno all’arte mia, ancorchè tu me l’avessi insegnata, ed avessi speso pensieri e danari per farmela apprendere, ed io ora mi ricusassi a questa sola cura, pognamo che la mi fosse possibile. Ma pensa ancora a questo, che tu adoperi contro ogni ragione a non lasciarmi usare liberamente della roba mia. Quest’arte io imparai che non ero più tuo figliuolo, nè soggetto all’arbitrio tuo (eppure l’imparai per te, e tu primo n’hai goduto), nè mi ebbi da te alcun aiuto per impararla. Qual maestro hai pagato? qual fornimento di farmachi hai comprato? Nessuno. Io povero, e privo del necessario imparai per la carità dei maestri. La provvisione che io avevo da mio padre per lo studio era tristezza, abbandono, miseria, odio di parenti, avversione di congiunti. E per questo pretendi adesso di usare dell’arte mia, e vuoi esser padrone di ciò che io acquistai quando tu non eri padrone? Ti basti che tu primo, senz’obbligo mio, spontaneamente avesti da me tanto bene, quando non potevi richiedermi niente, neppure ciò che allora era grazia. La mia beneficenza non mi deve diventare un’obbligazione per l’avvenire; l’aver fatto un bene di mia volontà non deve stabilire una ragione per comandarmi contro mia volontà; nè si può mettere l’usanza che chi ha curato un infermo, deve curare quanti altri quell’infermo vuole: che così gl’infermi sarebbero nostri padroni, e la mercede che ne