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XXIX.

FALARIDE PRIMO.



Noi siamo inviati, o Delfi, da Falaride signor nostro a presentare questo toro al dio, ed a dichiarare a voi alcune cose intorno a lui ed a questa offerta. Della nostra venuta questa è la cagione; e le cose che egli vi manda a dire son queste.

Io, dic’egli, Delfi, più di ogni altra cosa al mondo vorrei essere tenuto da tutti i Greci quale io sono, e non quale i miei nemici ed invidiosi mi rappresentano a chi non mi conosce; specialmente da voi che siete uomini santi, sempre vicini ad Apollo, e quasi abitate nel tempio col dio. Perocchè io credo che se mi giustificherò con voi, e vi persuaderò che a torto son creduto crudele, sarò per mezzo vostro con tutti gli altri giustificato. E chiamo a testimone di quello che io dirò lo stesso Iddio, che non si fa ingannare ed aggirar con bugie: gli uomini forse è facile gabbarli; ma ad un dio, e specialmente a questo, è impossibile nasconderli. Io che non ero del popolazzo d’Agrigento, ma, quanto un altro, ben nato, e liberamente educato, ed ammaestrato nelle scienze, sempre m’ingegnavo di mostrarmi popolare, e coi miei cittadini modesto e benigno: soperchieria, o sgarbo, o ingiuria, o capriccio non si può affatto appuntare a quella mia prima vita. Ma come vidi che i cittadini della parte contraria (la città nostra allora era divisa in parti) m’invidiavano, e cercavano ad ogni modo distruggermi, trovai un solo scampo e sicurezza per me, che fu anche salvezza per la città, pigliarmi la signoria, e così reprimere le insidie di costoro, e costringere tutti a far senno. Avevo dalla parte mia parecchi uomini moderati ed amanti della patria, i quali conoscevano il mio disegno e la necessità dell’impresa: e con l’aiuto di questi l’impresa