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XXI.
ERODOTO,
o
AEZIONE.
Imitare i pregi di Erodoto, non dico tutti (che saria toccare il cielo col dito), ma qualcuno dei tanti che ei n’ha, come la venustà del dire, o la sua armonia, o la schietta e nativa soavità gionica, o la ricchezza dei pensieri, o altra delle mille bellezze che egli ha tutte, saria sperare anche troppo: ma ciò che egli fece con la sua storia, e come in breve divenne chiaro in ogni parte tra i Greci, ed io, e tu, ed altri possiamo imitare. Navigando dalla Caria suo paese natio verso la Grecia, pensava tra sé come al più presto e più speditamente divenire illustre e celebrato egli e la sua storia. Andare attorno e leggerla ora agli Ateniesi, ora ai Corintii, poi agli Argivi, poi ai Lacedemoni gli parve fatica lunga, e da spendervi molto tempo. Pensò dunque di non ispargersi, di non andare racimolando e raggruzzolando qua e là un po’ di fama; ma se gli venisse fatto di cogliere tutti i Greci uniti insieme. S’avvicinano i grandi giuochi olimpici; ed Erodoto stimando venirgli l’occasione da lui desiderata, aspetta l’adunanza piena; e poi che d’ogni parte vi si fu raccolto il fiore dei Greci, presentasi dietro il tempio non come spettatore ma come combattitore nei giuochi; e recitando le sue istorie empì di tanto diletto gli ascoltatori che i suoi nove libri furono chiamati le nove Muse. Così dunque ei fu conosciuto da tutti più che gli stessi vincitori dei giuochi: non v’era persona che non avesse udito il nome d’Erodoto: chi aveva udito lui in Olimpia, chi ne aveva udito parlare dai venuti di là: e se egli pur compariva, era mostrato a dito, e dicevano: Questi è quell’Ero-