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Pagina:Opere di Niccolò Machiavelli VI.djvu/162

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DISCORSO MORALE


De profundis clamavi ad te, Domine, Domine exaudi vocem meam.


AVendo io questa sera, onorandi padri e maggiori fratelli.1 a parlare alle carità vostre per ubbidire a' miei maggiori, e ragionare qualche cosa della penitenza, mi è parso cominciare l’esortazione mia colle parole del Lettore dello Spirito Santo Davit Profeta, acciocché quelli che con lui hanno peccato, con le parole sue sperino di potere dall’Altissimo e Clementissimo Dio misericordia ricevere; né di poterla avere, avendola quello ottenuta, si sbigottischino, perchè da quello esemplo né maggiore errore, né maggior penitenza in un uomo si può comprendere, né in Dio maggior liberalità al perdonare si può trovare. E però con le parole del Profeta diremo: O Signore, io che mi trovo nel profondo del peccato ho con voce umile e piena di lacrime chiamato a te, o Signore, misericordia; e ti prego che tu sia contento per la tua infinita bontà concedermela. Né sia alcuno che si disperi di poterla ottenere, pure che con gli occhi lacrimosi, col cuore afflitto, e con la voce mesta l’addimandi. O immensa pietà di Dio, o infinita bontà! Conobbe l'Altissimo Iddio quanto fosse facile l’uomo a scorrere nel peccato; vidde che avendo a stare sul rigore della vendetta, era

  1. Nella nostra città di Firenze, dove sono frequentissime le Confraternite o società di persone laiche, che vi si adunano per esercizi di Religione, usa che anche tali persone negli Oratori delle dette Confraternite, talvolta predichino alle loro raunanze. In una di esse fece il Machiavelli questa allocuzione.