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Pagina:Opere di Niccolò Machiavelli VI.djvu/419

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DELL’ASINO D’ORO 399

E bench’io fossi in quel pensiero intento
     Che tutto il giorno a se mi aveva tratto,
     12E del mio petto ogni altra cura spento;
Com’io sentii la mia donna, di fatto
     Pensai ch’ogni altra cosa fosse vana,
     15Fuor di colei, di cui fui servo fatto.
Che giunta dov’io era, tutta umana
     Il collo mio con un de’ bracci avvinse,
     18Con l’altro mi pigliò la man lontana.
Vergogna alquanto il viso mi dipinse,
     Nè potei dire alcuna cosa a quella:
     21Tanta fu la dolcezza, che mi vinse.
Pur dopo alquanto spazio, e io, ed ella
     Insieme ragionammo molte cose,
     24Come uno amico con l’altro favella.
Ma riposate sue membra angosciose,
     E recreate dal cibo usitato,
     27Così parlando la donna propose:
 Già ti promisi d’averti menato
     In loco dove comprender potresti
     30Tutta la condizion del nostro stato.
Adunque se ti piace fa’ t’appresti,
     E vedrai gente, con cui per l’adrieto
     33Gran conoscenza, e gran pratica avesti.
Indi levossi, ed io le tenni drieto,
     Com’ella volse, e non senza paura;
     36Pur non sembrava nè mesto nè lieto.
Fatta era già la notte ombrosa, e scura;
     Ond’ella prese una lanterna in mano,
     39Ch’a suo piacer il lume scopre, e tura.
Giti che fummo, e non molto lontano,
     Mi parve entrar in un gran dormitorio,
     42Siccome ne’ Conventi usar veggiamo,