E dette luogo al mal voler d’altrui,
Tosto che vidde com’e’ bisognava 123Roma perdesse o libertate o lui.
Nè l’almo suo d’altra vendetta armava;
Solo a la patria sua lasciar non volse 126Quell’ossa che d’aver non meritava.
E così il cerchio di sua vita volse
Fuor del suo patrio nido; e così frutto 129A la sementa sua contrario colse.
Nè fu già sola Roma ingrata al tutto:
Riguarda Atene, dove Ingratitudo 132Pose il suo nido più ch’altrove brutto.
Nè valse contro a lei prender lo scudo,
Quando a l’incontro assai legge creolle, 135Per reprimer tal vizio atroce e crudo.
E tanto più fu quella città folle,
Quanto si vidde come con ragione 138Conobbe il bene e seguitar nol volle.
Milziade, Aristide e Focione,
Di Temistocle ancor la dura sorte 141Furno del viver suo buon testimone.
Questi, per l’opre loro egregie e forte,
Furno e’ trionfi ch’egli ebbon da quella: 144Prigione, esilio, vilipendio e morte.
Perchè nel vulgo le vinte castella,
Il sangue sparso e l’oneste ferite, 147Di picciol fallo ogni infamia cancella.
Ma le triste calunnie e tanto ardite
Contr’a’ buon cittadin, tal volta fanno 150Tirannico uno ingegno umano e mite.
Spesso diventa un cittadin tiranno,
E del viver civil trapassa il segno, 153Per non sentir d’Ingratitudo il danno.