Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo I.djvu/116

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spetti in così fare, ove non era alcun timore di punizione. Anzi parea occasione di acquistar gloria, e di mostrare fortezza, l’uccidere di un colpo chiunque s’incontrasse disarmato. Nella quale tristissima situazione nissuno ebbe più speranza di vita; e il terrore, che preso avea tutti gli animi, facilmente faceva credere certa la morte, tanto più che nè sicuro luogo, nè tempo propizio conoscevasi per lo scampo: chè la gente veniva senza alcun riguardo scannata ne’ templi più augusti, e in mezzo alla celebrazione stessa de’ religiosi misterii. Nè v’era caso di ricorrere agli amici, e parenti; chè infidi erano divenuti anche questi; e molti perirono massimamente per mano de’ loro più intimi. Così non v’era caso di preservarsi dai colpi, mentre piombava improvvisa la disgrazia sulle persone, e nessuno avea tempo di soccorrerle. Niuna forza aveano le leggi, e le convenzioni; niun asilo rimaneva: tutto facevasi turbolentemente e con violenza. La repubblica era caduta sotto una specie di tirannide, incostante, è vero, e versatile, ma che ognora cominciava da capo. I principali dello Stato, perduti d’animo, sentironsi dal terrore incusso da un sol uomo tratti in servitù. I giudici nel pronunciar le sentenze intorno alle cose civili, non tenevano più conto di ciò che le leggi avessero prescritto, ma del riguardo che i faziosi aveano più per l’uno che per l’altro de’ litiganti. Per un giudice era capitale delitto il non secondare quanto volevano i Veneti. Per ciò la maggior parte de’ creditori si vide costretta a consegnare ai debitori la scritta dell’obbligo, in tal modo defraudati del loro denaro. Altri dovettero dare la li-