Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo I.djvu/204

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presso i Persiani ancora eransi alzati, e che cresciuti erano i dazii nello Stato dell’Imperio. Il che tutti capirono essere stata speculazione profonda di Giustiniano, dopo che videro da lui stabilito per legge che la seta si vendesse otto monete d’oro la libbra sotto pena della confiscazione de’ beni. La quale disposizione essendo paruta assurda ai negozianti, giacchè avendo essi pagate le merci a carissimo prezzo avrebbero dovuto venderle per pochissimo, preferirono di abbandonare la mercatura. Per lo che le merci che trovavansi avere, clandestinamente spacciarono a note persone, le quali amassero o di gittare il suo di tale maniera, o di avere presso di sè tal genere di roba, oppure per alcun’altra speculazione servirsene. Il che avendo Teodora udito andarsi susurrando nel pubblico, essa senza accertarne il fatto multò i mercatanti di cento libbre d’oro, ed in oltre portò loro via le merci.

Ora poi tutto l’opificio della seta nello Stato romano si è posto sotto l’ispezione del prefetto del tesoro imperiale: con che a Pietro Barsame, di quella carica investito ancora, s’accrebbe mezzo di ogni maggiore perversità. Costui costretti i fabbricatori a lavorare solamente per conto suo, tutti gli altri tenne sotto l’iniqua legge promulgata; ed intanto, non di nascosto, ma nel Foro pubblico fece vendere la seta d’altro colore tinta sei monete d’oro l’oncia; e la tinta col regio colore, detto olovero, la fece vendere l’oncia ventiquattro e più di quelle monete. Con che all’Imperadore grosse somme procurò, e a sè stesso segretamente altre assai grossissime. Ciò che fu preso a farsi allora, si