Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo I.djvu/303

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poi, ch’essa nella Europa orientale, in Alessandria, e sul vastissimo lembo dell’Asia occidentale, serviva negli officii della religione. Così questa lingua, dominando in tutti i rispetti civili ed ecclesiastici, venne a dare il suo nome all’Imperio, a cui più non appartenevano nè l’Africa, nè la Spagna, nè le Gallie, nè l’Italia stessa, se pochi palmi se ne eccettuino in Ravenna e in Calabria, infine distaccatine anch’essi.

È fuori di proposito nostro dire che influenza avesse avuta la lingua latina sullo sptrito de’ popoli delle Gallie, della Spagna, e d’altri, presso i quali era stata introdotta fino dal tempo, che i Romani aveano conquistati que’ paesi. Ma pare a me che manifestissima scorgasi l’influenza che la lingua greca ebbe sullo spirito della corte, e della Chiesa di Costantinopoli. Non era essa più veramente la interprete de’ liberi sentimenti di Tucidide, di Senofonte, di Demostene. Il regno de’ successori di Alessandro avea abbassati gli spiriti; e tolta loro da’ Romani l’autocrazia i Greci, che pure erano i discendenti de’ vincitori di Troia e di Serse, s’erano abbandonati all’ultimo compenso che un popolo immaginoso può trovare in mezzo alla servitù, quello cioè di volgersi all’amplificazione de’ concetti, che niuna tirannide può comprimere, impastando insieme i delirii di ogni filosofia, e la licenza de’ sofisti, colla vaghezza esagerata di un idioma, che assai copioso per sè stesso, dalla sottigliezza di ogni più ardita speculazione facevasi copioso anche di più. Noi lasciamo ai filologi la cura di notare le alterazioni, che nella bella lingua de’ tempi di Alessandro i susseguenti Scrittori introdussero. Quando gli uomini non hanno più giuste e ferme idee; quando hanno perduto il nobile sentimento della loro dignità; quando educati nella bassezza del timore e dell’egoismo si avvezzano allo studio della vanità e della fraude, nè verità, nè virtù, nè sapienza essendo ne’ loro spiriti, l’ingegno loro necessariamente si volge ad una pompa di parole bugiarde; e una bastarda magnificenza di espressioni sottentra alle formule caste, che sono proprie de’ giusti sentimenti. Ma fatto abito nelle generazioni susseguenti questo deplorabile trascuramento del linguaggio, esso medesimo