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Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo I.djvu/500

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tardo li ristaurò; poi rimise il fiume nel suo primo alveo, o letto siccome dicono. Questo è ciò che ivi fece.

Tarso anch’essa è bagnata da un fiume, che vi passa in mezzo, e che è il Cidno. Esso era sempre stato innocuo; ma una volta recò grave rovina per la seguente ragione. Sull’equinozio di primavera sorto improvvisamente un gagliardissimo austro, sciolse affatto la neve, che caduta in inverno copriva quasi tutto il monte Tauro. Allora si vide da tutte le rupi uscir fuori ruscelli d’acqua; precipitare furiosi torrenti da tutti gli alvei, qua e là a piedi del Tauro sbucare fontane. Gonfio per queste acque il Cidno, giacchè dalle vicinanze tutte accorrevano ad esso; e cresciuto inoltre dalle molte piogge, con improvvisa alluvione rovesciò sino da’ fondamenti i subborghi volti a mezzodì; invase rumoroso la città, i minori ponti crollò, occupò tutte le piazze, inondò i quartieri, ed entrato nelle case, e le camere, e i cenacoli riempiendo d’acqua sempre più andava inalzandosi. Una notte e un giorno stette la città in siffatto pericolo, quasi in balìa di un mar procelloso. A poco a poco poi il fiume finalmente si raccolse entro gli usati suoi limiti. Le quali cose tutte udite avendo l’imperadore Giustiniano, pensò al seguente mezzo. Incominciò dallo scavare al fiume un altro alveo d’innanzi alla città, affinchè dividendosi in due rami le acque, metà al più andasse in Tarso: indi costruì i ponti molto più larghi e più forti, da non potersi scuotere e rovesciare dall’impeto della fiumana; ed in questo modo liberò in perpetuo gli abitanti della città dalla paura e dal pericolo.