Vai al contenuto

Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/149

Da Wikisource.

LIBRO PRIMO 129

fresco dalla Persia con assai grande codazzo e con molta copia di astati espertissimi nei perìcoli della guerra, fedeli e pronti ad ogni suo volere; l’altro similmente, eletto capitano delle truppe nell’Illiria ed a a que’ dì chiamato in Bizanzio per comporre non so quali faccende, numerava tra suoi una turba di Eruli. Ipazio intanto pervenuto nell’ippodromo1 era asceso il trono, da cui l’imperatore, sedendo, mirava le corse de’ cavalli e le gare dei lottatori. Mundo in questa uscì del palazzo per la porta Coclea, derivatole il nome dalla forma sua, e Belisario procedette verso l’altra che ritto conduceva all’ippodromo, dove arrivato ordinò alle guardie di aprirla; ma eglino, fermi nel voler celare i sentimenti degli animi loro sinchè non vedessero dichiarata la vittoria, ricusano di obbedire. Belisario alla ripulsa tornò da Giustiniano per annunziargli che depo-

  1. Il chiaro traduttore di Polibio (I. Kohen) dice: «Vastissimo era sovente lo spazio di siffatto edifizio, dalle corse de’ cavalli che vi si facevano così denominato. Quello di Delfo era tanto grande che quaranta carri vi potevano disputarsi la vittoria (Voy. du jeune Anach. tom. ii, pag. 314). Nè si celebravano in quello soltanto i giuochi equestri, ma vi si esercitava ancora la cavalleria militare, conforme apparisce da Senofonte (Agesil., lib. xxv). I Romani li chiamavano circi, e ve ne avea nella capitale parecchi, fra i quali il più cospicuo era il cosiddetto Circo Massimo, edificato da Tarquinio Prisco, e da Giulio Cesare talmente ampliato, che contener potea dugento sessantamila uomini (Sv., Iul. Caes., cap. 39): sebbene non solo le gare dei cocchii colà ammiravansi, ma le pugne eziandio delle fiere e de’ gladiatori, finchè sursero gli anfiteatri pella magnificenza degli imperatori» (lib. vii).