Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/176

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154 GUERRE PERSIANE

glio competerebbe il nome di peste universale. Dalla tristissima epoca in poi Giustiniano, professandoci amicizia di parole ma nimicizia co’ fatti, ha indistintamente malmenando e nemici ed amici ricolma tutta la terra di confusione; e pur troppo giunto che sla a domare l’occidente faratti palesi gli ostili sentimenti dell’animo suo. Ma di grazia non ha egli già sconvolte e messe a soqquadro tutte le nazioni? Non violate le più sacrosante leggi? Non sopraccaricatici di mille sin qui inudite gravezze? Non sottomesso al giogo della sua tirannia i Zani, amici nostri, liberi affatto prima di lui? Non ha sovrapposto un magistrato romano al re dei Lazj contro ogni natural ordine, e con oltraggio sì grave da non rinvenire parole atte ad esprimerlo? Non ha inviato suoi capitani ai Bosporiti, sudditi degli Unni, per insignorirsi arbitrariamente d’una città loro? Non fatto alleanza cogli Etiopi, il cui nome stesso era per lo innanzi ignoto ai Roma-

    Eppure diede in quel tempo saggio di tanto valore da sottomettersi per lo largo e lungo quel vastissimo regno, astrazion fatta dell’Egitto. Arsace si pose alla testa della ribellione, e da lui i discendenti suoi nomaronsi Arsacidi: poco dopo Mitridate inalzò i Parti a gloria somma. Contossi anni dugento settanta da Arsace, primo re loro, sino ad Artabano ultimo della dinastia, il quale visse al tempo del romano imperatore Alessandro di Mammea. Da tal epoca tornò il supremo comando agli antecessori di Cosroe mercè d’un Artassare, oscurissimo dapprima ma ardimentoso ed intraprendente, il quale raccolto un qualche numero di congiurati uccise Artabano, e coronatosi il capo fece risorgere il trono persiano colla rovina di quello dei Parti» (Agazia, lib. ii).