Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/206

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184 GUERRE PERSIANE

dovendo io credere fermamente ch’egli opera mai sempre con infallibile provvidenza.

III. Essendo la città in fiamme il presidio rimasovi attese con zelo, giusta l’ordine ricevuto, alla conservazione del tempio; il fuoco inoltre sparagnò molte fabbriche vicine al cosiddetto Cereteo, in grazia non già di qualche umano provvedimento ma della situazion loro, perocchè lontane dalle altre non si poterono da esso aggiungere. Fu similmente arso dai barbari quanto esisteva fuori delle porte, meno le sue mura, i palagi che ricettarono l’ambasceria e la chiesa di S. Giuliano.

IV. Gli ambasciadori tornati quindi nuovamente al cospetto di Cosroe gli diressero queste parole: «Se noi, o re, non fossimo alla tua presenza mai più crederemmo che il figliuol di Cavado abbia assalito le romane terre violando un ancor fresco giuramento, saldissimo, al creder nostro, ed estremo pegno di fede tra gli uomini, e rompendo quei trattati di pace in cui ripone ogni sua speranza chiunque non sa comportare senz’affanno i mali della guerra; nè di questo procedere è uopo altrove rintracciare la causa, che nell’avere l’uomo cangiato il tenore del viver suo con quello dei bruti. Imperciocchè se i combattenti non venissero mai ad amichevoli accordi,

    linico, e la quarta di Antioco Epifane. Questa città è la capitale della Siria, ed i comandanti la regione v’hanno la reggia loro. Di poco è a lei superiore Seleucia sul Tigri, ed Alessandria di Egitto..... V’hanno stadi quaranta di Seleucia (Pierea) alle foci dell’Oronte, e centoventi da Antiochia» (lib. xvi).