Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/211

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LIBRO SECONDO 189

dopo avervi immolato vittime alle Ninfe, volle che si mandasse in fiamme il tempio dell’arcangelo S. Michele, e passo a narrarne la cagione.

II. Un cavaliere persiano valente tra’ commilitoni portossi in compagnia di altri suoi colleghi ad un alpestre luogo vicino al cosiddetto Treto, dov’era il tempio di S. Michele, opera dell’architetto Evaride, e mirandovi acquattato un giovane antiocheno, Aimaco di nome e beccaio di professione, lasciati indietro i compagni spronògli contro il cavallo; ma l’altro dapprima fuggendo e poscia voltatoglisi d’improvviso il colpi di selce in fronte, ed atterratolo immediatamente gli fu sopra e sgozzòllo con quel ferro medesimo di che videlo cinto; fatto allora bottino di quanta avea l’ucciso, armi e danaro, e montatone il destriero scomparve, e per sua buona ventura, o perchè ben nota gli fosse la via, riuscì a sottrarsi dai nemici, ed a porre in salvo la vita. Pervenuta all’orecchio del Persiano la faccenda, questi, crucciatosene, ordinò che si appiccasse fuoco al tempio, ed il comando fu tosto eseguito coll’estendere l’incendio, per vie più gratificare al re, anche alle case erettevi d’intorno.

III. Cosroe di poi abbandonato Dafne avviossi coll’esercito ad Apamea, città dov’è in molta venerazione un pezzo non minore d’un cubito, del legno della S. Croce, portatovi occultamente da siriaca mano; ed i cittadini ponendovi la maggior loro difesa, rinchiusolo entro un reliquario di legno e ricco d’oro e di gemme, lo aveano affidato alla custodia di tre sacerdoti, i quali annualmente esponevanlo in certo stabilito giorno alla