Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/213

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LIBRO SECONDO 191

dell’Onnipotente accorsa non fosse a rattenerlo. Imperciocchè egli non bramava altra gloria che quella di conquistare città, e per riuscirvi punto non badava nè alle promesse fatte nè al divenire spergiuro, come ne avemmo indubitata prova dal suo procedere contro Dara in violazione d’un trattato di alleanza, e contro Callinico assalita durante una tregua; ma di queste cose dovremo più a lungo ragionare in appresso, e quanto spetta alle sciagure di Apamea è uopo, il ripeto, ascrivere ad una visibile protezione divina ch’ella campasse d’un totale esterminio. Tommaso mirando nel Persiano, dopo saccheggiato il tesoro, ardente sete di maggior bottino, mostrògli il Reliquario, e levatovi il Legno della Croce: «Questo santo Legno, disse, nel quale ripongo ogni mia ricchezza, pregoti o re, di lasciarmelo, quale oggetto incomparabilmente pregevole al cuor mio, ed abbiti pure le gemme e l’oro di che va adorno»: i suoi voti furono di leggieri compiuti.

V. Seguì tali vicende l’ordine reale di fare nel circo i soliti combattimenti, mezzo opportunissimo a procacciarsi il favor popolare, ed onorolli di sua presenza lo stesso monarca, il quale rammentandosi di avere un tempo udito che Giustiniano proteggeva la fazione dei prasini, stabilì nel cuor suo che ora i veniti ne uscissero vittoriosi. Al pigliare adunque le mosse i due carri, vedendo quello de’ prasini lasciare indietro l’avversario, insospettì di qualche artificio, e pieno di sdegno, gridando che all’imperatore non si conveniva la vittoria, impose al cocchiero di arrestarsi; ed il veneto, passando oltre, ebbe la palma.