Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/277

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LIBRO SECONDO 255

rando con nuova terra il vano fatto, e diedersi in vece a formarne altro larghissimo, a foggia di stanza, dalla parte che l’edificio più si avvicinava alle mura; accumularonvi quindi secchi tronchi d’alberi arsicciati, e tutti a larga mano spalmati con olio di cedro, con solfo e bitume, avendovene in città abbondante provvista. In quello stante i duci persiani, il ripeto, conferivano spesso con Martino appalesandosi bramosissimi di pace; dato però fine al lavoro, pervenuto questo a signoreggiare la città, accomiataronlo ricusandosi apertamente ad ogni convenzione. I Romani allora ardon all’improviso i predisposti tronchi, ed intanto che le fiamme diffondonsi là sotto, e’ non cessano di alimentarle con altro legname per rendere l’incendio universale, come di fatto ebberne certezza vedendo nella notte il fumo che andava qua e la aprendosi un varco alla superficie di esso. Nondimeno parendo loro immatura la manifestazione delle tramate insidie, gittanvi prestamente sopra dalle mura vaselli pieni di carboni ardenti ed incendiario saettame, al cadere de’ quali subito accorrevan le scolte notturne ad ammorzarli, persuasi che ciò fosse la sorgente del fumo; crescendo tuttavia il male, e cadendo molti dei loro feriti dagli archi romani si chiamò soccorso. Al levar poi del sole giunto il re con gran parte dell’esercito e montatovi sopra fu il primo a conoscere non essere onninamente gli avventati combustibili su quel terreno la vera cagione di quanto appariva, ma occulto fuoco nelle sue viscere, e per estinguerlo fecevi all’istante correre tutte le truppe. Ora gli Edesseni rincoratisi cominciarono a villaneg-