Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/436

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412 GUERRE VANDALICHE

saglio l’avverso fato, ma se questo vuole appalesarsi ora men rigido teco, gli rifiuterai disdegnoso il tuo consentimento? le quali cose neppur da coloro che mancano al tutto di senno verrebbero con indifferenza guardate. Or dunque, se pure vittima di tanti sinistri non ti venne meno la ragione, spesso il forte dolore conducendoci ad un perverso consiglio, se ti rimane il coraggio d’accomodarti con animo pacato ai capricci della sorte, se puoi valerti ancora del tuo intendimento, se non vivi in fine che per gemere sotto il peso delle tue disgrazie, approfittati volentieri della facoltà di migliorar la vita e di sottrarti dai presenti mali». Gilimero letto il foglio lagrimando riscrisse: «Di cuore, o Faras, ti ringrazio del consiglio, sembrami però ben duro a sopportarsi il far servitù ad un principe di cui rimembrando le gravi offese ricevute, vorrei piuttosto, se mel desse Iddio, potermi vendicare; conciossiachè egli, non provocato da me col minor dispiacere od affronto, mossemi guerra per ridurmi non colpevole a tali estremi; nè saprei tampoco aver buon animo con quel suo Belisario. Guardinsi però, mortali anch’eglino, di non soggiacere a mai più immaginate vicende. Non mi trattengo da vantaggio teco avendomi le gravi sciagure tolto ogni memoria: addio, mio caro Faras, mandami a sollievo di mie pene una cetera, un pane ed una spugna». Il duce a queste domande stava alcun poco sopra sè, non bastandogli l’animo di comprenderne il significato, quando il portator della lettera esposegli che il re desiderava mangiare un pane