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Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/437

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LIBRO SECONDO 411

necessario pensarono cedere, stimando soavissimo il morire, e per nulla vituperevole la condizion servile. Quindi è che Faras avutone sentore mandò lettera di questo tenore al monarca.

III. «Sono barbaro anch’io, idiota ed infelice parlatore: non posso adunque fare argomento del mio scrivere che quanto, nella carriera mortale assegnatami dalla natura, m’è avvenuto d’apparare coll’esperienza delle umane vicende. Perchè mai, caro Gilimero, ti precipitasti co’ tuoi in sì profondo baratro ad evitare la prigionia? Operi, a mio credere, assai fanciullescamente apprezzando questa libertà in guisa da ridurti per lei agli estremi di tutto, mentrechè poi, senz’avvedertene, sei ora in effetto il servo degli infelici Maurusii. Cosa tu pensi di conservare col mezzo loro, o qual migliore fortuna t’attendi per essi? Ma non vantaggeresti in cambio tua condizione menando vita povera e servile tra’ Romani anzichè sul Papua, ligio di cotesta gente? Come riputerai vitupero sommo l’obbedire all’imperatore de’ Romani cui serve lo stesso Belisario, uomo sì grande? E pur noi, avvegnachè di specchiatissimo legnaggio, non ci gloriamo dell’egual sorte? Si va inoltre dicendo che Giustiniano vuole accoglierti nel senato, fregiarti della maggiore onoranza che per lui si possa, dichiarandoti patrizio, e donarti vasta ed ottima regione e molto danaro con essa; e che tale appo lui sia per essere la tua sorte, egli stesso, comparendogli inanzi, te ne darà la fede. So bene che l’animo tuo è forte sì da reggere a tutte le sciagure onde ti pose a ber-