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Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/119

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LIBRO PRIMO 109

militi, computandosi que’ rinchiusi in Roma al principio di questo assedio non eccedenti, se pur v’arrivavano, il numero di cinquemila. Constantino avuto dagli esploratori che i barbari accingevansi a valicare il Tevere, pien di timore per l’antedetto muro, pronto vi accorse con altri pochi tolti dalla custodia della porta e del tumulo. I Gotti in effetto lui assente fecero impeto contro la porta Aurelia e la mole di Adriano non con macchina di sorta, sì bene con immensa quantità di scale e frecce, persuasi che riuscirebbero di tal guisa a ridurre più facilmente il nemico in angustie, e ad impadronirsi a bell’agio del fievolissimo corpo di guardia ivi rimaso. Ora con questo divisamento, portando a riparo della persona scudi non minori delle gerre persiane, vi procedevan sotto, e quantunque già vicini ai nemici non erano per anche da loro veduti la mercè d’un portico unito al tempio dell’apostolo Pietro. Tale eglino con improviso impeto investirono le mura impedendo a un tempo che l’inimico traesse vantaggio dalla cosiddetta balista, macchina solo atta a lanciare strali da lunge, o dalle frecce, le quali trovando invincibile resistenza negli scudi non recavano danno alcuno agli assalitori. Oltredichè fermissimi nella impresa avventavano dardi a furia contro de’ merli, ed erano già per appoggiare al muro le scale, riusciti quasi a cingere i difensori della mole, essendo che dato buon fine a quella impresa incontanente sarebbonsi condotti da ambo i lati alle spalle loro. I Romani disperando salvezza dal numero caddero per poco in ispavento, quindi tutti unanimemente messe in pezzi molte