perato si rimane a fè mia in ottima condizione, e così amerei che le nostre future imprese valessero ad accrescere il poter tuo. Non passerò quindi con silenzio ciò che a me si conviene dire ed a te fare, incontrastabile essendo che le umane vicende per nulla traviano dal volere del Nume, e che di tutte le imprese unicamente da quelle eseguite per loro stessi aver sogliono i duci vituperio o lode. Metti adunque a disposizion nostra armi e soldati in tal moltitudine che da quinci innanzi possiamo con forze eguali combattere il nemico: mal consigliandosi chi ripone il tutto nell’aiuto e nella perseveranza della fortuna, più che avversa dal correr sempre la medesima via. Pensa teco stesso, o Augusto, che se ora il barbaro avesse trionfato ci andrebbe dalla tua Italia discacciando colla perdita di tutto l’esercito, e con molto nostro disonore per avere condotto malamente la guerra. Qui non rammenterò che trascurando noi in qualche parte di mettere un argine alla rovina de’ Romani, cui l’antica fedeltà verso l’imperial tua persona ed i prosperi successi ottenuti dalle armi nostre hanno sin qui apportato salvezza, e’ per certo lascerebbonci gravissimo argomento di dolore. Che se prima di tornarne al possesso noi fossimo stati respinti dalle mura loro, dalla Campania ed in epoca molto anteriore dalla Sicilia, l’unico nostro cordoglio si volgerebbe sul minore di tutti i mali, quello, intendomi, di non esserci potuti arricchire con beni posti nelle altrui mani. Devi inoltre considerare attentamente che neppure con un presidio di molte miriadi sarebbesi potuto conservare