Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/140

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130 GUERRE GOTTICHE

mani, gli Unni ed i confederati loro sono valentissimi arcieri a cavallo, del quale esercizio giammai occupossi Gotto veruno, addestrando questi i cavalieri a maneggiare le sole aste e spade, e gli arcadori a combattere pedestri e protetti dagli ordini delle truppe di grave armatura. Ove pertanto i primi non guerreggiano a brevissimo intervallo, per mancanza d’armi quali attaglierebbonsi contro nemici saettatori, cadono a bell’agio feriti; nè i fanti possono comunque dirla con essi; volersi quindi a ciò riferire la vittoria nelle precedenti scherminaglie ottenuta dai Romani. I barbari poi ravvolgendo negli animi loro così inopinati destini cessarono dal molestare le assediate mura con piccoli corpi, nè assaliti dal nemico incalzavanlo più di quanto fosse necessario per allontanarlo dai proprii steccati.


CAPO XXVIII.

Belisario aringa i Romani chiedenti battaglia. — Instruisce l’esercito su d’una equestre pugna. — Indotto dalle parole di Principio accoglie nell’ordinanza i fanti.

I. In appresso tutti i Romani boriosi delle riportate vittorie furono smanianti di combattere coll’intero gottico esercito, persuasi di venire ad una decisiva giornata campale. Belisario e converso vedendo il grandissimo divario esistente ancora tra’ suoi ed i barbari esitava di continuo a cimentarsi con tutte le truppe, e con maggiore attenzione adoperava di batterli sempre alla spicciolata. Vinto finalmente dai rimproveri e dell’esercito e degli altri Romani si risolvea a secondarli,