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132 | GUERRE GOTTICHE |
mirando benissimo conosco avere dalla mia il tempo; non potendosi a meno che ora più di leggieri otteniamo vittoria sopra i nostri nemici avviliti e depressi per le trascorse vicende: e come per verità uscirebbero preclare geste da un petto di frequente scoraggiato da contraria fortuna? Del resto niun di voi la perdoni al cavallo, all’arco, o ad altra maniera comunque d’arme, promettendovi dopo la battaglia risarcimento delle perdite in essa fatte.»
II. Terminata questa esortazione il duce condusse fuori l’esercito per la minor porta Pinciana e la maggiore Salaria; fe’ uscirne ad uno picciol mano da quella Aurelia con ordine di venire al campo di Nerone in aiuto di Valentino comandante della cavalleria, e già consapevole di non cominciare battaglia, nè di soverchiamente accostarsi al gottico steccato; farebbe invece mostra ognora di volere senza indugio assalire il nemico, e bene attenderebbe ad impedire che la schiera dei barbari a sè di contro non corresse, valicato il vicino ponte, a rafforzare gli altri corpi. Conciossiachè postatasi gran copia di essi, giusta il detto, sul campo di Nerone, sembrava d’assai al condottiero l’obbligarli a non prendere tutti parte in quel cimento, ed a rimanersi lontani dai loro compagni. Alcuni del popolo eransi uniti siccome volontarj all’esercito; ma il duce miseli fuori dell’ordinanza per tema non recassero impauriti dal pericolo generale nell’azione scompiglio, essendo una turma di vili operai, ed affatto ignoranti delle cose di guerra. Formatone pertanto un corpo separato li mandò alla porta Pancraziana di là dal Tevere, ove rimarrebbonsi in at-