Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/148

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138 GUERRE GOTTICHE

uccisero d’asta molti barbari: da qui procedevano di questo modo le cose. Nel campo di Nerone lunga pezza stettersi ambe le fazioni rimirando; intrattanto i Maurusii del continuo molestavano i Gotti dardeggiandoli con frequenti schermugi, nè gli assaliti ardivano farsi loro addosso, per tema non le turbe della romana plebe, collocate a breve distanza e presupposte schiere di fanti, rimanessersi colà di piè fermo a macchinare insidie, e ad attendere l’ora d’inseguirli dalle spalle, per distruggere quanti ne avessero intercettati con sorpresa di schiena e di fronte. Era il meriggio quando l’esercito romano scagliossi di subito contro dei barbari, i quali sopraffatti dall’urto improvviso ed inopinatamente messi in fuga, nè potendo riparare nelle proprie trincee, ascesero le vette dei colli vicini. Qui per verità erano abbondantissime le genti di Belisario, ma non tutte esperte delle armi, anzi il più di esse ciurmaglia; imperciocchè nell’assenza del supremo duce molti nocchieri e bagaglioni alla coda dell’esercito, bramosi di prender parte nel combattimento, eransi mescolati con le truppe, e pur costoro, siccome scrivea, riuscirono a fugare i Gotti fuori di sè per quella inaspettata moltitudine. Se non che presto la confusione mandò in rovina le cose imperiali, avendosi perduto ogni vestigio d’ordine in causa appunto della prefata mescolanza, ne più le genti udivano la voce di Valeriano, che di tutta possa cercava incoraggiarli; così senza uccidere uom de’ nemici lasciavanli su pe’ colli quieti e tranquilli osservatori di quanto accadeva nella pianura. Non sorvenne tampoco alle menti loro il ta-