Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/150

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140 GUERRE GOTTICHE

saltarlo, ed atterritolo colle aste loro costringonlo a riparare nella schiera pedestre. Se non che rotti con eguale impeto i fanti voltarono pur questi le spalle in gran numero, traendo seco i fuggitivi cavalieri. Qui principiò tutto l’esercito romano a piegare, molestato ognor più da’ suoi avversarii, ed appresso dal numero a dar la volta. Ora è uopo rammentare che Principio e Termuto colla piccola schiera de’ fantaccini comportaronsi da animi veramente coraggiosi; di guisa che la maggior parte dei barbari arrivata ad essi fermi nel combattere e nel rifiutarsi alla fuga, piena di maraviglia si tenne immobile, dando così agli altri pedoni ed a moltissimi cavalieri agio di sottrarsi più sicuramente dal pericolo. Principio nondimeno lacero dappertutto il corpo, e veduti a sè dintorno morti quarantadue guerrieri quivi stesso spirò. Termuto invece armatesi ambe le mani con due isaurici dardi, non facendo mai tregua al ferire di punta ora questi ora quelli degli assalitori, sentivasi già venir meno il coraggio per le ferite; ma confortato dall’arrivo del fratello Enne con parecchi cavalieri tornò ad animarsi, e tutto coperto com’era di trafitte e di sangue, e con seco ognora i suoi dardi corse veloce alle mura, e dalla prestezza del suo andare, velocissimo di piede, ebbe salvezza, quantunque sì malconcio del corpo. Tocca non di meno la soglia della porta Pinciana cadde, e supposto morto da’ suoi fu condotto in Roma sopra uno scudo, ove dopo due giorni, lasciando in fra gl’Isauri e tutto l’esercito grandissima rinomanza, più non vivea. I Romani avviliti pe’ sofferti disastri e solo intenti alla difesa della città, serrate