Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/168

Da Wikisource.
158 GUERRE GOTTICHE

a fine di procacciare ai cavalli più libero pascolo, e di togliere al nemico la grande libertà d’ir vagando a suo buon grado lunge da’ proprj steccati; fatto il comandamento, e collocate le truppe giusta la volontà del condottiero si restituì nella città. Disposte le antedette cose, Belisario vivea tranquillo, e sebben lontano dal provocare a battaglia, teneasi non di meno in continua guardia, e pronto a respignere la forza esterna se da qualche parte venisse fatto impeto contro le mura; somministrò eziandio frumento ai bisogni della romana plebe. Martino poi e Traiano oltrepassate colle tenebre le nemiche trincee ed arrivati a Tarracina mandarono Antonina con qualche scorta nella Campania, ed occupati i luoghi forti adiacenti cominciarono a muovere di là onde raffrenare colle improvise loro scorrerie i Gotti sbandati per que’ dintorni. Magno e Sintoe riparate in breve tempo le rovine del castello di Tivoli, nè avendo più che temere davan senza posa molestie al nemico a stanza presso del fortilizio, e con assidui e repentini scorrimenti travagliavano i conduttori della vittuaglia; ma il secondo, riportata in que’ badalucchi una ferita alla mano destra con grave offesa dei nervi non fu più atto alla guerra. Nè i Gotti sofferivano meno dagli Unni accampatisi, come scrivea, loro dappresso, chè eglino pure di già pativan fame, non avendo più il destro siccome per lo avanti di procacciarsi liberamente i bisogni della vita. Furono per giunta incolti dalla moría, la quale molti ne uccideva in ispecie ne’ campi da ultimo formati a breve spazio dalla via Appia, di guisa che i superstiti, pochi senza contraddizione, vidersi costretti a rifuggire