Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/194

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184 GUERRE GOTTICHE

manere Uligisalo con quattrocento militi, e nell’agro de’ Piceni guardossi dal rimovere i quattrocento ivi di stanza a guernigione del castello Pietra. In Aussimo, città superiore ad ogni altra di questa regione, collocò quattro mila Gotti, fior dell’esercito, cui presiedeva Uisandro valentissimo duce; ed in Urbino due mila con Murra. Hannovi di più due castelli, Cesena e Monteferetro, ed in ciascheduno di essi lasciò cinquecento militi per lo meno; dopo di che ritto sen corse alla volta di Arimino col proposito di assediarla. Ma Belisario non appena veduto il nemico abbandonare i contorni di Roma avea spedito Ildigero e Martino con mille in arcione per altra via a fine di prevenirne a marce forzate l’arrivo in quella città, e di costrignere Giovanni colle sue genti a tosto sloggiarne; affiderebbero poscia la difesa di Arimino a molti valenti militi cavati dal castello nomato Ancona, solo due giornate da ivi lontano, posto sul Ionico seno, e del quale erasi poco prima impadronito mandandovi Conone alla testa di non poca isaurica e tracica soldatesca. Di questa guisa operando sperava che le superbe schiere de’ Gotti al rimirare Arimino presidiato da soli duci e fanti d’una non grande riputazione, mai più sarebbonsi abbassati a cingerla d’assedio e, messala per dispregio in non cale, diritto e senza indugiamenti trarrebbero a Ravenna, ove, se pigliassero a tenerne i passi, ben sapea avervi annona da alimentare lungo tempo i fanti, e potere i due mila cavalieri colle altre truppe scorrazzando al di fuori essere di grave molestia al nemico, e più di leggieri costringerlo a levarsi di là. Con tale divisamento