Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/199

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LIBRO SECONDO 189

chè non pensavamo di soggiacere ad assedj sopra un littorale dominandone i Romani sì agevolmente il mare; nè uom sarebbesi potuto persuadere che fossimo per venire in cotanto disprezzo alle imperiali truppe. Di più eraci stimolo ad imprendere la futura lode di un ottimo volere a pro della repubblica, e la celebrità della fama che di noi andrebbe ovunque dopo i combattimenti. Ora, oppositamente, costretti di correre questo aringo a fine di cansare la morte, indarno spereremmo sorvivere mal fidando nella nostra fortezza. Con tutto ciò non riscuoterà minor gloria di qualsivoglia altro chi di voi nutre valore, se con predare azioni s’accinga a farne mostra. Certissimo essendo che non i vincitori de’ più deboli riportano gloria e rinomanza, ma quanti per grandezza d’animo escono vittoriosi d’un nemico superiore nei militari apprestamenti. Fin quelli cui più sta a cuore l’amor della vita riporteranno armandosi di coraggio grandissimo profitto. E di vero chi ha la somma delle cose pericolante al maggior segno, e per servirmi del comun detto, sulla punta del coltello, qual è il caso nostro, costui le più volte rinviene salvezza nel dispregiare i perigli1.» Terminata così l’esortazione Giovanni conduce le truppe contro ai barbari, lasciando poca gente alla custodia dei merli; quindi si viene ad ostinatissima pugna, ed i Gotti fanno da principio vigorosa resistenza; ma alla fine sull’annottare ritraggono la torre ne’ loro accampamenti, dopo co-

  1. Una salus miseris nullam sperare salutem.