Narsete, amicissimo di lui sopra ogni altro, dubitando con suo dispiacere che Belisario stimolato dalle aringhe di que’ duci non procacciasse tosto la salvezza di Arimino, pigliò la parola dicendo: «Non v’intertenete, o duci, delle bisogne solite a discutersi in un consiglio; né i vostri parlari vertono sopra oggetti meritamente supposti ardui da alcuno, occupandovi in cambio tutti di quanto anche i meno esperti degli affari guerreschi saprebbon di per sé adottare come l’ottimo de’ provvedimenti. Se ogni dove si presentasse l’egual pericolo ed ogni dove parimente minacciasse l’eguale danno alle fallite nostre lusinghe vorrebbesi a fè mia usare molta diligenza nella deliberazione, e giudicare delle circostanze in cui siamo dopo ben attento esame. Ora se ne garba il differire ad altro tempo la conquista d’Aussimo non ci esporremo a grave perdita; o che male ne avverrà mai? In vece lasciando noi correre alla peggio le cose di Arimino forse che non saremo in colpa (nè vi offendete della parola) di aver fatto venir meno le forze ed il coraggio de’ Romani? Se poi Giovanni mancò non prestando il rispetto dovuto, o ottimo Belisario, a’ tuoi comandamenti, ora di certo ne paga il fio, pendendo i suoi destini unicamente dal tuo arbitrio; di guisa che privo d’ogni speranza sta in tuo potere il salvarlo, o il darlo in preda ai nemici; guardati nientemeno di non punire in noi ed in Augusto le imprudenti mene di lui. Poichè i Gotti ove giungano ad espugnare Arimino, ridurranno al servaggio un valorosissimo duce romano, tutte le truppe ivi rinchiuse, ed una città ligia