Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/229

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LIBRO SECONDO 219

mico, lanciavano dalle mura pungenti ed ingiuriosi detti contro ai rimasi. Belisario impertanto volea tentare l’assalto con quelle sue truppe, e nell’escogitarne il come la prospera fortuna con mirabile avvenimento dichiarossi per lui. Una sol fonte era in Urbino, e da lei tutta la popolazione attigneva acqua; ora di per sè a poco a poco rasciugando cessò di gittare, e nello spazio di tre giorni l’acqua venne meno per guisa che i barbari di poi cavandone erano costretti a berla tutta limacciosa; e’ risolverono allora di arrendersi ai Romani. Belisario pienamente all’oscuro di queste cose e fermo nel suo proposito di scalare il muro fa circondare da molti guerrieri tutto il colle, ordinando in pari tempo ad altri di farsi avanti nel piano col portico (nome solito darsi a questa macchina) composto di verghe, e così procedervi sotto che il nemico non abbia a vederli. In questa i barbari dai merli chiedon pace protendendo le destre. I Romani ignari affatto dell’ avvenuto alla fonte opinavanli in preda al timore della pugna e della macchina; checchè tuttavia ne pensassero ad entrambi riuscì assai grato lo esimersi dal combattimento. I Gotti fecero lor sommessione ottenendo, oltre la salvezza della persona, di godere sotto il dominio imperiale, ed incorporati colle romane truppe, tutti i costoro diritti, e di militarvi ad eguali patti.

III. Narsete alla riferta di cotanto impensate vicende pieno di stupore e di rammarico stettesi di piè fermo in Arimino comandando a Giovanni di procedere a Cesena con tutte le truppe, e queste munite di scale inoltrando fin sotto il castello tentaronne l’assalto, ma