Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/249

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LIBRO SECONDO 239

trarvene appena avuto da me il segno, e la tuba pedestre, o guerrieri, sarà pronta a darlo.» Dopo queste ammonizioni di Belisario le truppe veduti i nemici a foraggiare ne uccisero di tratto con iscorribanda alcuni, ed un Maurusio aocchiato tale di essi spento e a dovizia ornato d’oro, pigliatolo per la chioma, bramoso di spogliarne il cadavere, traevalo a sè. Ma in questa altri de’ Gotti gli avventò un dardo, il quale di guisa trapassonne i muscoli dietro le due tibie, che ambo i piedj, per la intromissione del ferro, rimasongli insiem congiunti; il Maurusio non di meno, tenuta forte quella chioma, compiè l’opera sua. In questa i barbari surgono dagli agguati, e Belisario vedutili dal suo campo ordina prontamente ai trombadori pedestri di dar fiato ai loro stromenti; al segno i Romani a poco a poco indietreggiarono conducendo seco il Maurusio da’ piè trafitti, e i Gotti non osando incalzarli retrocedettero a man vuote.

CAPO XXIV.

Lettera de’ Gotti in Aussimo a Vitige chiedendogli soccorso. Vana promessa del re. — Cipriano e Giustino assediano Fiesole. Uraia in marcia al Ticino; ma, valicato il Po, non osa cimentarsi co’ Romani.

I. Col procedere del tempo i Gotti venuti a penuriare d’assai la giornaliera vittuaglia deliberarono sul come esporre a Vitige le angustie loro, non avendovi chi ardisse incaricarsi della malagevole andata a lui, tutti, più che certi dell’assidua romana vigilanza