Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/252

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242 GUERRE GOTTICHE

vano espugnarne le mura, nè tampoco appressarvisi, la rocca essendo tutt’all’intorno di malagevole accesso; miravansi altresì esposti a continui assalimenti de’ barbari, i quali preferivano il morir combattendo ai disagi prodotti da mancamento d’annona. Da principio dubbia fu la sorte delle armi, ed or per gli uni ora per gli altri la vittoria, ma poscia i Romani, addivenuti superiori e da per tutto sequestrato il nemico entro le mura, stavansi bene all’erta acciocchè uom non ne uscisse. Il presidio non di meno privo di vittuaglia e ridotto alle massime augustie spedisce occultissimamente altra fiata a Vitige chiedendogli pronto soccorso e dichiarandosi incapace di più lunga resistenza. A questo annunzio il re comanda al duce Uraia di marciare colle milizie della Liguria sull’agro ticinese, nella persuasione che di tal modo procaccerebbesi egli stesso la opportunità di farsi con tutte le gottiche truppe e senza indugj a soccorrere gli assediati. Quegli obbediente agli ordini avuti conduce l’affidatogli esercito a Pavia; quindi valicato il fiume Po s’avvicina al campo romano, ed al solo intervallo di sessanta stadj piantavi il suo. Nessuno diè principio al combattere, sembrando agli imperiali a bastanza l’impedire che il nemico aggiugnesse gli assediati, e mal sentivano gli altri di quivi cimentarsi, pensando che perduta la battaglia avrebbero posto affatto a soqquadro le cose de’ Gotti, rimanendo nella impossibilità di soccorrere, unitamente alle truppe di Vitige, quelle mura. Di tali considerazioni rattenevano ambo le parti entro a’ proprj valli.