Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/257

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LIBRO SECONDO 247


CAPO XXVI.

Un soldato romano traditore porta lettere dagli assediati in Aussimo a Vitige, e quindi recane la risposta. — Tale degli Sclabeni torna al suo campo trascinandosi un Gotto sorpreso in agguato, e confessatosi da costui il tradimento si passa alla punigione del reo.

I. Allorquando Teudeberto messo in campagna l’esercito, giusta la mia narrazione, assalì armata mano l’Italia, Martino e Giovanni raccozzatisi dopo la fuga tornarono ai loro posti onde impedire il nemico di combattere i suoi occupati negli assedj. I Gotti poi rinchiusi in Aussimo, ignari tuttavia della venuta de’ Franchi, e noiati del lungo attendere i soccorsi chiesti a Ravenna, pensarono di nuovamente supplicarne a Vitige; ma privi ora d’ogni mezzo per gabbare la nemica vigilanza attristavansene formisura. Veduto quindi Burcenzio (nome d’un imperiale milite, di nazione Besso e subordinato all’armeno duce Narsete) starsene verso il meriggio tutto solo di guardia perchè uom della città non si desse a foraggiare, lo avvicinano per iscambiarvi parole, e lo invitano con promessa di ricco guiderdone e di farlo esente da ogni violenza e frode, ad un colloquio. Accontatisi di tal maniera seco preganlo di portare una lettera a Ravenna, offerendogli tosto molto danaro, e rassicurandolo che altro e di gran lunga in maggior copia e’ ne riceverebbe al suo ritorno colla risposta del re loro. Il milite acciecato dalla pecunia promette l’opera sua, e compie la data parola. Sen vola