Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/258

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248 GUERRE GOTTICHE

dunque colla lettera perfettamente suggellata a Ravenna, dove introdotto alla presenza di Vitige gliela consegna, ed eccone a un di presso il tenore: «A quale trista condizione siamo di già ridotti lo comprenderai apertamente col domandare al messo chi e donde egli ne sia; imperocchè non havvi Gotto che osi metter piede fuor delle mura. Tutta la grandissima nostra vittovaglia è sotto di queste; vogliam dire l’erba; ma ora neppur di lei possiamo valerci se non in forza di sanguinosissimi badalucchi. Dove andranno a riuscire di tali cose ed a te ed a’ tuoi dimoranti in Ravenna si pertiene vederlo.» Vitige letto il foglio, rispondea: «Non sia chi di voi, o miei carissimi sopra tutti i mortali, opini avviliti i nostri animi e resi torpidi a segno di tenere per inerzia sì picciol conto dei Gotti. Ogni cosa era testè più che in ordine per la partenza; io avea di già inviato Uraia coll’intero novero delle sue truppe alla volta di Milano, quando un impreveduto assalimento de’ Franchi sconvolse tutte le nostre disposizioni; nè uom sia che m’aggravi di tanto sinistro, imperocchè le vicende superiori ad ogni umano sforzo purgano, se non altro, della colpa le vittime d’una contraria fortuna; questa prendela intieramente sopra di sè, e chiamasene affatto mallevatrice. Ora poi, udita la partenza di Teudeberto, saremo a voi tra breve, consentendolo il Nume, con tutto l’esercito nostro. V’è mestieri intanto armarvi di coraggio contra le avversità cui soggiacete, ed accomodarvi il meglio alle imperiose circostanze di coteste mura, non dimenticando l’antico valore, mercè del