Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/286

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276 GUERRE GOTTICHE

pigliarsi al partito migliore. Tra’ pericoli della guerra lo vedevi cautamente prontissimo e pieno d’un’assennata bravura; così pure nell’imprendere contro il nemico ora appariva sollecito, ora tardo, come appunto voleasi dalle circostanze. V’ha anche di meglio; il suo animo era imperturbabile ne’ sinistri, e molto più alieno dal superbire quando assistito da propizia fortuna. Abborriva consumare il tempo in delicatezze, e nessuno certamente potrà vantarsi di averlo incolto avvinazzato. Sinchè in Italia ed in Libia capitanò le romane truppe ogni sua impresa venne coronata ognora dalla vittoria; restituitosi quindi per volere dell’Augusto in Bizanzio apparve anche vie più di prima quanto si valesse. Imperciocchè ricolmo di fulgurantissimo valore, e superiore a tutti i maestri della milizia, quanti mai ebbevene prima di lui, non solo per ricchezze ma eziandio pel numeroso corteo di lance pretoriane e di armati di brocchiero, meritamente rendevasi formidabile in pari guisa ai duci ed alle truppe; di maniera che, se mal non m’appongo, quantunque fossevi stato alcuno disposto a contraddirne i comandi, sarebbegli venuto meno il coraggio. Gli ordini suoi venivano da tutti senza distinzione rigorosamente eseguiti a riverenza del valore o per tema del potere sopraggrande, mettendo a proprie spese in campo sette mila cavalieri, tra’ quali non vedevi uom di rifiuto, ambiziosissimo ognuno d’essere collocato nelle prime file dell’ordinanza, e di provocare i più coraggiosi nemici. I vecchi Romani assediati dai Gotti alla vista di quanto operavasi ne’ combattimenti, presi da maraviglia ivano dicendo che la potenza della casa di