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LIBRO TERZO | 305 |
dirizzato nuovamente il cammino, o per dirla più ne’ termini, governa la cosa nostra meglio di quanto sapremmo noi stessi desiderare; or dunque ne giova anzi conservarci favorevole coll’osservanza della giustizia la causa cui dobbiamo una vittoria di gran lunga superiore alle nostre forze che, oltraggiandola, far pubblica testimonianza d’avere a odio e disdegno la nostra felicità stessa. Imperciocchè non può, in fè mia, l’ingiurioso e violatore giungere a riportar lode trattando le armi in campo, dalla vita di ciascheduno di noi pigliando norma la fortuna della guerra.» Così Totila, ed i magnati de’ Gotti pienamente consentendogli guardaronsi bene dal rinnovargli lor suppliche, abbandonando affatto all’arbitrio di lui il pretoriano. Il re non guari dopo condannollo a morte, e fe’ comando che ogni avere del reo passasse alla violata pulzella.
CAPO IX.
Malvagità dei duci e delle imperiali truppe. Italiche sciagure. — Lettera di Totila al senato romano. Ariani sacerdoti banditi da Roma. Assedio del castello d’Otranto.
I. Nel mentre che Totila attendea a queste cose duci e soldati del romano esercito fan saccomanno degli averi de’ suggetti popoli ed abbandonansi ad ogni maniera d’incontinenza e libidine; giunti a tanto gli stessi duci d’aver baldracche ne’ loro presidj e gozzovigliarvi insieme, la soldatesca addivenuta ognor più
Procopio, tom. II. | 20 |