Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/325

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LIBRO TERZO 315

gno di lor venuta a Totila ed all’esercito di lui, entrativi colle tenebre divisarono stancare il nemico co’ frequenti loro schermugi. Laonde in sul meriggio del vegnente giorno al grido che i barbari eransi approssimati vie più alle mura uscironne a furia per iscontrarli, spediti dapprima esploratori per averne il numero e per essere opportunamente cauti in questa fazione. Ricila, lancia di Belisario ed in quel tanto disgraziatamente briaco, disdegnando che altri spiasse, dato degli sproni al cavallo da solo va oltre; se non che in periglioso luogo avvenutosi a tre Gotti si tenne per acconciarsi innanzi tutto da prode armigero, e da senno lo era, alla difesa: ma poscia mirandosi avviluppato da ogni parte diede il tergo, e nel fuggire tra’ que’ precipizj cadutogli il cavallo, venne da tutti i nemici, tramandate altissime grida, fatto bersaglio del generale saettamento. I Romani spettatori di quel sinistro corsero ad aiutarlo; ma egli nondimeno rimase coperto e spento da un nembo di frecce; i militi di Torimunto riusciti quindi a fugare i barbari pigliansi il morto, al cui valore pur troppo conveniva più nobile fine, e si ritraggono con esso in Aussimo. Sabiniano poscia e Torimunto consigliatisi con Magno giudicarono fuor di proposito una più lunga dimora entro le mura, non potendo eglino mai affrontare con pari forze i nemici, e certi che consumando pur essi l’annona degli assediati avrebbero accelerato la resa della città. Convenuti adunque d’un animo nella determinazione, i duci con mille ausiliarj nella prossima notte si apprestarono alla partenza. Se non che tal della truppa incontanente ri-