Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/337

Da Wikisource.

LIBRO TERZO 327

alla fin fine venissegli fatto di metter piede su quel dei Romani tosto appaleserebbe il segreto, e domin che per soprappiù glorierebbesi di quel nome; nè l’universale de’ barbari ebbe da principio sentore veruno di simiglianti mene.

Addivenutine quindi consapevoli quasi tutti gli Ante raccoltisi insieme dichiararono di comune spettanza il caso del prigioniero, persuasi di trarre grande utilità dal possedere Chilbudio maestro delle romane truppe. E qui vuol dirsi che questi popoli, Sclabeni ed Ante, non obbediscono ad un solo capo, ma sino ab antico godono d’un popolare governo, per cui del bene e del male sogliono essere tra loro consorti; così pure il massimo novero di tutte le altre cose presso le due genti camminano dello stesso piede come furono da lunga pezza stabilite. Adorano tuttora un solo Iddio fabbricatore del fulmine, e riconoscendolo assoluto padrone dell’universo offrongli buoi ed ogni altra maniera di vittime. Non sapevoli onninamente del fato vivonsi ben lontani dall’altribuirgli un che di possanza sopra le mortali bisogne; colpiti da morbo o astretti ad impugnare le armi al sovrastar loro la morte fanno voto al Nume di sacrificargli tosto campati dal pericolo, ed esauditi pronti adempiono la promessa, credendo avere per lei riscattato la propria vita. Venerano di più e fiumi e ninfe ed altri Iddii ai quali tutti immolano ostie e nell’ucciderle dannosi a pronosticare. Abitano povere capanne, molto discoste le une dalle altre, e spesso cambiano di stanza. Nella guerra il più sono fanti con piccoli scudi e dardi nelle mani, non ve-