Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/377

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LIBRO TERZO 367

tratavi l’egual resistenza, gl’imperiali di già superiori nell’aringo non titubarono del prendere le parti di assalitori. Se non che alcuni di essi spinti dalla foga dell’incalzare allontanatisi di troppo col rincular de’ nemici, corsero risico d’essere colti in mezzo ed impediti dal retrocedere, ma Belisario vedutane la triste condizione spedì forte schiera de’ suoi ad apportar loro salvezza. I barbari di tal guisa ributtati voltarono le spalle con gravissima perdita di valorosi combattenti e conducendo quantità di feriti nel proprio campo, dove si tennero a curarne i corpi, a riparare le armi nella maggior parte malissimo conce, ed a mettere in assetto ogni altra cosa. Passati quindi molti giorni eccoli di nuovo alla volta del muro col proposito di assalirlo; ma i Romani fattisi ad incontrarli e venuti alle prese coraggiosamente scavalcarono tra gli altri, in causa di mortale ferita, un banderaio del re colla sua insegna, al che tutti i loro militi nelle prime file procacciarono a gara di portarsi alla conquista del vessillo in un col trapassato; riuscì non di meno ad alcuni prodissimi Gotti il prevenirli, e poterono così mettere in salvo la bandiera e mozzare la sinistra dell’ucciso; poichè avendola questi di aureo braccialetto adorna e’ disdegnavano accrescere con esso la nemica gloria e sottostare al disonore che sarebbene loro derivato. Alla per fine, l’esercito de’ barbari voltosi in fuga, i Romani spogliarono il cadavere, e dopo un lungo e mortifero correr dietro a’ fuggenti rivennero all’in tutto sani e salvi nella città.

IV. In allora i più cospicui de’ Gotti presentatisi al