Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/378

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368 GUERRE GOTTICHE

re con molte villanie e spogli d’ogni rispetto pigliarono a rimproverarlo della imprudenza commessa non radendo Roma dalle fondamenta dopo la conquista fattane, acciocchè il nemico non avesse più mezzo di ripararvi, nè di presidiarla, toccatogli così perdere da stolto il frutto d’un lunghissimo tempo e di tante loro fatiche. È per verità connaturale agli uomini il far giudizio mai sempre delle cose a norma dell’esito, e, conformato l’animo loro all’incostante fortuna, l’ire vagando da una in altra sentenza. I Gotti dunque finchè Totila prosperò di bene in meglio nelle sue imprese ebberlo pari a Nume, predicandolo invitto ed inespugnabile quando consentiva loro che si atterrassero in qualche parte le mura de’ conquistati luoghi. Andatigli quindi colla peggio una sol volta i suoi divisamenti non paventavano di trascorrere alle ingiurie, come esponevamo, dimentichi delle lodi testè dategli, o vie meglio sfrontati sì da ritrattarle; ma non può a meno che di cotali e simili colpe imbottiscano gli uomini, cadendovi trascinati da ingenito vizio. Il re co’ suoi barbari da ultimo riparò in Tivoli città, conquassando quasi tutti i ponti eretti da Tiberio per tema di nemica sorpresa, ad eccezione del solo nomato Milvio mercè della grande prossimità di Roma.