Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/381

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LIBRO TERZO 371

menti altrui, egli del paro fassene autore. Ma da poi che per inesplicabile temerità Belisario venne a vittoria, scorgovi, carissimi Gotti, all’in tutto cambiati e presi da ammirazione di lui, come d’uom forte; nè v’ha dubbio che l’andar fornito di cieco ardire più di leggieri procacci nome di valoroso, che non un cauto e guardingo operare. Imperciocchè lo sprezzatore delle consuetudini e de’ limiti assegnati all’imprendere s’acquista rinomea di grand’animo eziandio quando abbiane le sole apparenze; in cambio un prudente indugiatore ne’ pericoli se vadan colla peggio sue geste ne riporterà odio e tutta la colpa dell’avversa fortuna: e dato pure all’operar suo glorioso fine, si parrà non di meno ai dappoco aver egli fatto un vero nulla. Oltre ciò quanti di voi mi tengon ira sono ben lunge dal porre mente alla vera cagione che li addolora ed offende. Pensate forse che a Belisario sia per venir lode in virtù dei vantaggi ottenuti sopra voi, i quali frante le catene della schiavitù ed impugnate meco le armi lo avete spesse fiate vinto in campo? Ora se di tali imprese compieste sotto gli auspizj del mio valore, la mercè loro almanco raffrenare dovete le vostre lingue, e riflettere come sia voler di natura che nessuna delle umane cose abbia lungamente da tenere l’egual carriera. Se dunque da contraria fortuna vi fu tolta quella vittoria, v’è giuocoforza tuttavia anzi onorarla che mostrarvene irosi per tema non sdimentichi, offesa, l’antica benignità sua. Ed affè d’Iddio come purgarci dalla colpa d’una smodata in-