Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/425

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LIBRO TERZO 415

di subito avessero da cadervi spenti. Il re, all’udirne, temendo non uomini per nulla solleciti della vita e disperanti salvezza recassergli gravi danni mandò proponendo loro delle due l’una: o che abbandonati i cavalli, deposte le armi e giurato di non guerreggiare mai più contro i Gotti, liberi se ne tornassero a Bizanzio, o conservato l’intero novero delle proprie suppellettili facessersi da quinci in poi, collo stipendio e co’ patti stessi degli altri, suoi aiutatori in campo. I Romani lietissimi dell’offerta mostraronsi da prima bramosi di ripatriare; ma poscia vergognando retrocedere inermi pedoni e colla dotta continua, tra via, d’insidie e morte; ricordevoli inoltre di quanto l’erario andava lor debitore per istipendj non tocchi da molti anni, tutti passarono ai servigi del re, salvo Paolo e l’isauro Mitide, i quali supplicarongli a voce la facoltà di restituirsi in Bizanzio, adducendo avervi donne e prole, nè lunge da esse poter vivere beata vita. Il monarca assicuratosi che tali erano le cose vi prestò il suo consentimento, e fornitili di guide e viatico diede loro licenza; di più accordò salvezza, descrivendoli a’ suoi ruoli, ad altri quattrocento romani militi riparati nei templi della citta, e dimise ogni pensiero di rovinar questa o di abbannarla, volendo anzi che fosse abitata da Gotti e Romani di qualsivoglia ordine; passo ad esporre i motivi della sua determinazione.