Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/475

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LIBRO QUARTO 465

dannosi tutti in iscompiglio a precipitosa fuga, cotanto per lo timore stupiditi che più non discernono colla vista i malagevoli passi del patrio suolo onde poterli causare. In questa i Romani, combattendoli da tergo e da fronte, ne uccidon di molti, proceduti quindi sino al castello unitamente ai fuggitivi, rinvengonne tuttavia spalancata la porta, colpa dei custodi che eransi indugiati a serrarla, non disperando ancora d’introdurvi le disperse lor truppe. Queste intanto ad una cogli persecutori adoperano di valicarne il limitare, chi per amor della vita chi animato dalla brama di sì glorioso conquisto. Tutti adanque al mirare dischiuso quell’adito entrano promiscuamente, più non potendo la guardia distinguere i suoi dai nemici, nè chiudere contro gli sforzi della moltitudine accorsavi le imposte. Gli Abasgi lieti di rivedere le proprie mura erano impertanto a pessimo partito, ed i Romani sebbene colla vittoria in pugno trovaronsi esposti a vie più malagevole cimento. Imperocchè le case tutte, sarei per dire, aggruppate insieme a motivo della prossimità loro, ed all’intorno munite a foggia di bastioni, furono tosto occupate dai paesani, i quali opponendo forte resistenza, messi grandemente alle strette dai terrore ed incorati da somma compassione per le donne e la prole, saettavano dall’alto al basso gli imperiali. Nel costoro duce alla per fine destossi il pensiero d’incendiare que’ fabbricati, ed ebbene il più completo successo. Re Opsite di là sottrattosi con pochi dei suoi riparò sul tenere dei confinanti Unni e sul Caucaso; degli altri

Procopio, tom. II. 30