Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/483

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LIBRO QUARTO 473

senti loro traversie, costruirono eglino stessi tale macchina, quale non venne mai in pensiero a Medo o Romano, sebbene fossevi ognora nei regni loro ed abbiavi numero immenso di artefici, ed agli uni ed agli altri occorresse di continuo valersene per gli assalimenti di fortificazioni erette in luoghi elevati e di malagevole accesso. Non fuvvi tuttavia mente capace d’immaginare l’artifizio usato allora da que’ barbari; è uopo così dire che il procedere del tempo arricchisca l’uomo di nuovi trovati. I Sabiri adunque fannosi di netto a comporre un’ariete ben differente dalle comuni, imperciocchè lunge dal formarla con travi poste perpendicolarmente e di traverso, fasci di grosse verghe supplivanne i lati, e quindi impenetrabili cuoj tutto all’intorno coprivanla, tale che non perdute le sembianze dell’ariete racchiudeva una sola trave nel mezzo sospesa, com’è l’usanza, da lunghe catene, ed avente la testa foggiata a mo’ di spada e tutta ferrea, simile alla punta d’una freccia, destinata con percuotimenti continui ad abbattere le mura. Fu poi di tanta leggierezza che non era uopo nel suo interno di braccia per trascinarla; ma gli stessi quaranta individui prescelti a spignere la trave contro al muro a tutto bell’agio portavanla sugli omeri loro, riparati mercè delle pelli da offesa comunque. I barbari adunque compierono tre di questi artifizj valendosi delle travi ferrate pendenti nelle arieti di antico stile e di malagevolissimo traslocamento a motivo del peso. Terminatone il lavoro quaranta romani militi nerboruti e prodi li condussero alle mura, procedendovi dai fianchi guerrieri armati ottima-