Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/489

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LIBRO QUARTO 479

tica, pure voleansi rendere illustri con gloriosa morte. Bessa non di meno fermo nell’animo di ridestare in essi l’amore della vita, commette ad altro de’ suoi, ammaestratolo da prima nella parte che sostener dovea, di procedere alle mura per sovvenirgli di migliori consigli; ed il messo venutovi proferì le seguenti parole: «Da quale gravissima sciagura sorpresi, o valenti Persiani, vi abbandonate di questo modo all’ultimo dei mali, incontrandolo con sì periglioso ardimento e manifesto disprezzo della virtù guerresca? No, per vita mia, non opera da prode chi si getta pertinacemente a disperati risichi, nè da prudente chi rifiuta sommettersi ai vincitori. Non è turpe cosa nelle umane vicende il piegare ai destini della giornata, la necessità meritamente disdegnando vituperevoli titoli quando sia di speranze priva, o ridotta a penosissime condizioni; e tanto più ancora nella certezza che inevitabili mali hanno le più volte a compagno il perdono: guardatevi adunque dall’insistere animosi nel vostro evidente pericolo e dall’anteporre un vano orgoglio alla propria salvezza; pensate invece ne’ soli morti non darsi risorgimento, ma poter voi col vivere tornare al possesso della perduta libertà, se di tanto siete vaghi. Deliberate in fine coll’animo solo intento al vostro bene, sapientissimi estimando que’ consigli che possiamo tuttavia, sopraggiuntone il pentimento, correggere. Noi, come portano le dottrine dei Romani seguaci di Cristo, vi abbiamo per iscusati nella vostra bramosia di morte, ed avvegnachè vi rimiriamo così non curanti la vita e dispreg-