Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/491

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LIBRO QUARTO 481


II. Si tacque il messo, e la guernigione disdegnando al tutto udirne ed assordita dalla caparbietà sua finse di nulla intendere. I Romani allora comandati dal maestro de’ militi appiccarono fuoco alla rocca siccome l’unico spediente a conquistarla. Elevatesi di molto le fiamme i barbari s’aveano davanti agli occhi la morte, persuasissimi di tramutarsi ben presto in cenere, nè più confortavali speranza comunque rendutosi vano ogni spediente di campare la vita. Ricusarono impertanto di sommettersi ai Romani, ed alla costoro presenza in un atomo tutti insiememente furono colla rocca arsi dal fuoco. Apparve allora quanto al re stesse a cuore la Lazica, fidata egli avendo la salvezza di Petra a’ suoi migliori guerrieri, ed in essa deposte armi in tanta copia, che addivenute bottino de’ vincitori ogni soldato n’ebbe per cinque volte il suo guernimento, sebbene pur molte ne fossero dall’incendio consunte. Vi si rinvenne parimente grande ricolta di grani, di carni salate e di altra vittuaglia, capace di supplire per un lustro i bisogni dell’intero presidio; mancava unicamente il vino, essendosi dai Persiani fatta provvigione di solo aceto e di sufficiente quantità di civaie per formarvi la bevanda loro. I Romani poi al vedere nella città l’acqua sgorgante da canale artefatto quasi di sè per maraviglia uscirono, e solo riebbersi quando la scaltra costruzione degli occulti acquidotti fu loro manifesta: ora passo a dirne.

III. Cosroe quando guernì Petra espugnata dalle sue armi, fermissimamente persuaso che i Romani procure-

Procopio, tom. II. 31