Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/535

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LIBRO QUARTO 525

tare, o pure dobbiamo all’arte ed agli stromenti la idoneissima loro flessione. Ciascheduna tavola poi dall’una estremità del navilio procedente all’altra t’accenna la lunghezza del tronco dal quale venne segata, e soli ferrei chiodi assicuranla forte alle coste per compierne i fianchi: per fermo tutta la sua costruzione è tale uno spettacolo che indarno cercheremmo descrivere. Ed affè di Dio che la natura delle cose mai consente agli uomini di esprimere chiaramente colla favella la maggior parte delle opere assai lontane dalla comune immaginazione, e sempre che rendonsi queste superiori ai nostri consueti pensamenti s’avvantaggiano ad uno del potere della parola. Intra que’ legni, arrogi, non ve ne ha di putrefatti o tarlati, ma tutta la nave in sorprendentissima guisa conservasi ancora egualmente perfetta come apparve non appena uscita delle mani del suo artefice, chiunque egli si fosse; il dettone basti.

II. Totila mandò soldieri, empiutene trecento lunghe navi in Grecia coll’ordine di manomettere quanto si parasse loro innanzi; nè quest’armata di mare insino alla Feacide (oggi detta Corcira) fu apportatrice di sventure, imperciocchè nel tragitto, avente da banda Cariddi, non trovi isola con abitatori, di maniera che trasferitomi di spesso in quelle parti rimaneami incerto ove cercare la dimora di Calipso. Quivi appresentaronsi a’ miei sguardi tre sole isole, non più di trecento stadj lontane dalla Feacide, intra loro vicine, piccolissime, ed affatto spoglie di gente, di bestiame e d’altra cosa comunque. Hanno ora nome Otonie, nè mancherà forse chi pongavi l’abitazione della