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Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/582

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572 GUERRE GOTTICHE

andò all’improvviso ad assaltare una desertissima parte del muro, e salitolo di netto senza opposizione al mondo si calò a bell’agio co’ suoi nella città, spalancandovi incontamente le porte. I Gotti alla comparsa del nemico in Roma deposto ogni pensiero di resistenza voltano in precipitosa fuga, chi riparando nel castello, e chi battendo la via di Porto. Ora io nel raccontare di tali mutazioni vado intra me riflettendo come la fortuna pigliandosi giuoco delle umane cose mai tenga dietro ai mortali con equabil moto, nè riguardisi sempre ad una guisa, ma ben diversamente in conformità dei tempi e de’ luoghi, secondo i quali e le circostanze mostrasi tanto ghiribizzosa con essi da mutarne affatto la condizione, e valgaci a pruova Bessa, il quale avendo perduto ignominiosamente Roma giunse non guari dopo nella Lazica a riporre sotto l’imperial dominio Petra; Dagisteo che abbandonata questa città al momento di occuparla fu quindi il primo a liberare la stessa Roma dai Gotti aprendone le porte agli assediatori. Ma di tali vicende corsero tutte le età del mondo, nè cesseranno mai infino a tanto che la volubil Dea signoreggerà i mortali. Narsete allora coll’esercito si avvicinò al castello, e con promessa di mandarne salvo o della vita il presidio ebbelo incontanente, ricorrendo l’anno vigesimo sesto dell’imperio di Giustiniano. Così Roma tornò per la sesta volta sotto il dominio di questo principe, il quale di subito ne ricevè le chiavi speditegli dal supremo duce.