Pagina:Opere di Raimondo Montecuccoli.djvu/31

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miro non fosse animo e cuore, non perché alla Nazione mancassero Combattenti; ma non era nel Re tanta autorità da contenere i Grandi nella osservanza de’ suoi Decreti, e nella fede alla Patria, e non era nelle Milizie alcuna disciplina e alcun uso di obbedire all’Imperio di un solo Condottiero. Ricorderanno i Polacchi, se la memoria de’ benefizj duri nelle Nazioni, e la invidia verso gli stranieri più facilmente non la cancelli, come essi furono della loro salvezza principalmente al Montecuccoli debitori; quando ei dapprima resse la Cavalleria, dipoi tutto l’Esercito, quando ei ruppe e disfece il Transilvano Ragotzi congiunto a Gustavo, quando ei batté più volte per la Campagna gli Svedesi, gli discacciò di Cracovia, gl’inseguì fino a Thorn, e privi di asilo e di sussistenza, gli astrinse ad abbandonare e lasciar vacuo delle arme loro quel Regno, che poc’anzi corso ed occupato, quasi tra le Provincie loro si annoverava. Ma l’impeto di Carlo Gustavo rotto e respinto nella Polonia, inopinatamente si gittò sopra la Danimarca, la quale non preparata, vide gli Svedesi correre vittoriosi ogni parte di lei, infino a che la somma della guerra si ridusse intorno le mura della Capitale, unico ed estremo asilo di una Nazione quasi debellata. Pareva giunto il momento che la Svezia vendicasse con perpetua servitù l’antico giogo, che ella aveva portato degli odiati Danesi; pareva il tempo che la vasta Scandinavia servisse ad un sol Re, e si adunasse in una sola Monarchia; pareva quasi che la Europa inorridita ne presagisse da’ Goti più poderosi e men barbari quelle invasioni, delle quali dura tuttavia la memoria in tanti magnifici vestigj di rovine e di devastazione. Non era la Danimarca meno oppressa, e meno sbigottita, che la Italia dopo il fatal giorno di Canne, e alla Danimarca non mancò Scipione, se lecito è di un medesimo nome intitolare due sommi Capitani, ne’ quali fu tanta somiglianza della virtù, e delle imprese. Raimondo avanti di procedere alla nuova guerra, trasse a collegarsi con Cesare quel Sovrano di Brandemburgo, che la Posterità distinse col nome di Grande, né fu difficile ch’ei lo persuadesse con parole, dove precorreva