Ma se i secoli gotici non ci avessero invidiate le poesie di Alceo, forse l’amor della patria e delle virili virtù suonerebbe più dalla lira di quel capitano odiator de’ tiranni[1], di quel che suoni dalle imitazioni di un cortigiano, che lusinga il suo signore confessandogli di essere fuggito dalla battaglia, estremo esperimento degli ultimi romani contro la fazione di Cesare[2], e fa aiutatore un Iddio del suo tradimento. È da badare che di tulle quasi le reliquie di Alceo, restate presso Eraclide Pontico ed Ateneo, si trova non dirò l’imitazione, ma la traduzione letterale[3] in Orazio. Che si ha dunque a pensare sì d’Alceo come degli altri lirici, de’ quali, quantunque incontriamo rari vestigi, vivono i nomi tuttora e vivranno immortali come le muse? Quasi una intera ode si appropriò Catullo della sventurata Saffo[4], imitata ad un tempo da Lucrezio[5]; ed ho argo-
- ↑ Quintil., lib. x. Orazio, lib. ii, od. x, vers. 26 e seg. Lib. {sc|iv}}, od. viii, vers. 8, ed altrove.
- ↑ Lib. ii, od. vii, vers. 14. Lib. iii, od. iv, vers. 27. E ne’ Sermoni.
- ↑ Paragona fra gli altri lo prime due strofe, od. x, lib. I, e l’ode xv, vers. 5 e seg., con i i frammenti d’Alceo stampati fra’ lirici greci.
- ↑ Catullo, carmen li, Longino, sezione x.
- ↑ Lib. III, vers. 153 e seg.